Insieme al collega Filippo Melchiorre ho parlato del commercio cinese in conferenza stampa neppure un mese fa; ne abbiamo parlato in termini di diritti, di condizioni di lavoro, di illegalità con cui i cinesi svolgono il loro lavoro. A neppure un mese di distanza, purtroppo, la tragedia di Prato ha riportato alla mente quanto importante dev’essere tenere accesi i riflettori sul tema. Pertanto mi sento di condividere le parole dell’On. Fabio Rampelli, che ben esprime i concetti che già sono stati da noi sviscerati:

«La responsabilità della tragedia di Prato è di uno Stato indifferente e menefreghista, che negli ultimi vent’anni ha chiuso gli occhi di fronte a quello che accadeva nella città toscana. Le Istituzioni hanno ignorato il fatto che a Prato si stesse insediando una delle Chinatown più grandi del mondo, terza oggi solo a quelle di Londra e Parigi, con 40 mila cinesi di cui la metà clandestini.

Nessuno ha mosso un dito per difendere i diritti umani delle decine di migliaia di uomini, donne e bambini stipati nei capannoni delle 3500 aziende tessili cinesi della città e che lavorano in condizioni disastrose e nella più totale illegalità. Tutti coloro che avevano il dovere di intervenire, sindacati inclusi, hanno preferito voltarsi dall’altra parte e ignorare chi, come noi, ha sempre chiesto controlli e l’espulsione di coloro che in Italia non rispettano la legge e calpestano la dignità umana, peraltro causando anche la chiusura di migliaia di aziende italiane. E che oggi, con il loro buonismo da quattro soldi, hanno la responsabilità politica e morale di questa gravissima tragedia. Lo Stato ora invii immediatamente le sue ispezioni, chiuda le fabbriche del degrado e della morte e rispedisca a casa tutti i clandestini, per far capire che da noi possono soggiornare esclusivamente coloro che restano nel perimetro delle regole. Faccia esattamente quello che 7 giorni fa il collega Achille Totaro ha chiesto in un’interrogazione sull’abusivismo cinese a Prato, andata in diretta televisiva e sulla quale il governo Letta si è arrampicato sugli specchi».