Lo scorso 25 luglio ho avuto modo di presenziare alla discussione in Aula al Senato sulla mozione per il rafforzamento del Servizio Sanitario Nazionale, presentata da alcuni esponenti dell’opposizione, ma che – giustamente, aggiungo – ha trovato l’accordo di tutta l’assemblea.

La mozione è uno degli strumenti di indirizzo delle Camere, che impegna il Governo ad attuare un elenco preciso e condiviso di azioni su uno specifico tema di interesse collettivo. E credo che il nostro Servizio Sanitario Nazionale sia molto più di un semplice bene collettivo: è un patrimonio da preservare e valorizzare, un modello unico di assistenza universalistica nel contesto mondiale.

È per questo che in apertura del mio intervento ho ritenuto doveroso rivolgere un ringraziamento sincero ai senatori che hanno presentato la mozione, perché essa è espressione di un amore sentito per il Servizio sanitario nazionale pubblico, uniformemente condiviso da maggioranza e opposizione e fortemente sostenuto dal governo Meloni, di cui mi onoro di far parte.

Perché sul tema della difesa del SSN non ci si deve dividere, ci si deve unire.

E all’esercizio di ricerca delle responsabilità stratificate – nel tempo e nei vari livelli – che hanno portato oggi ad avere una sanità pubblica in sofferenza, deve a mio giudizio prevalere il pragmatismo costruttivo e la volontà di porre in essere i giusti correttivi.

II nostro SSN ha una storia importante, di quasi quarantaquattro anni. Questa storia è fatta anche di una sovrapposizione di numerosi provvedimenti, che alcune volte hanno migliorato il sistema sanitario, altre volte lo hanno appesantito.

In queste righe, però, vorrei ripercorrere nel concreto cosa è stato messo in campo nei soli otto mesi di governo Meloni dal Ministro della Salute Schillaci e dal sottoscritto, per dare conto di alcuni numeri che avevo voluto mettere in fila qualche mese fa e fare cronaca oggettiva delle misure già intraprese.

Lo scorso dicembre avevo spiegato in un post alcuni passaggi del trend del finanziamento del fondo sanitario nazionale degli ultimi anni: mettevo in evidenza come la Fondazione Gimbe denunciasse già nel 2019 il depauperamento di 37 miliardi di euro alla sanità pubblica, avvenuto nel decennio precedente. Suggerivo sommessamente, poi, come leggere al meglio i dati.

Perché, anche se asettici, i numeri parlano.

E quindi, nel periodo della pandemia il rapporto spesa sanitaria/PIL è stato vicino al 7%, è vero. Ma ciò si giustifica con l’incremento delle risorse per la sanità pubblica necessarie a fronteggiare il Covid, unito alla contrazione dell’economia e conseguente diminuzione del prodotto interno lordo che l’emergenza sanitaria ha portato con sé.

Le opposizioni oggi continuano a denunciare una volontà dell’attuale esecutivo di definanziare la sanità pubblica; chiedono a gran voce che si guardi “ai numeri assoluti” e si renda strutturale la percentuale del 7% del fondo sanitario sul PIL, non ricordando che tale cifra era bel lontana nelle previsioni del DEF di aprile 2022, quando a governare erano loro.

Ma poiché sulla salvaguardia del SSN tutti convergiamo, lascio che siano i fatti a restituire l’amore per la verità.

Mi rifaccio quindi al primo degli impegni della risoluzione votata meno di una settimana fa, che recita così: reperire più risorse finanziarie.

Senza dilungarmi, registro che solo per il prossimo triennio il Governo Meloni ha appostato più di 8 miliardi di euro per la sanità pubblica, che quindi vede il fabbisogno sanitario nazionale incrementato di oltre 10 miliardi in meno di cinque anni.

Sempre non meno di una settimana fa, inoltre, in un’intervista rilasciata al Sole 24 Ore, il Ministro Schillaci dichiarava che per la sanità servono 3-4 miliardi in più da destinare prioritariamente al personale, per incentivare i medici – tutti, non solo quanti prestano servizio nei reparti di emergenza-urgenza – a continuare a lavorare nel SSN e a incrementare le loro prestazioni per ridurre le liste d’attesa.

Sono valutazioni economiche necessarie e propedeutiche alla manovra del prossimo anno, alla quale si sta già lavorando di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze. E sono indicazioni di una volontà politica forte e determinata a salvaguardare l’attrattività del nostro SSN.

Questo per rispondere al secondo punto della mozione: intervenire per assicurare maggiore attrattività alle professioni sanitarie. Ma anche per favorire il ricambio generazionale del personale medico e infermieristico, come pure chiede sempre l’atto di indirizzo e per sopperire al turn over di questi professionisti sanitari, che contano (e s-contano) oggi 80.000 unità in meno.

Per sanare questa situazione si sta lavorando, da un lato, aumentando l’accesso programmato alle facoltà di medicina, che apriranno le porte a 4.000 matricole in più nel prossimo anno accademico; dall’altro, appena possibile, superando il tetto di spesa sul personale che favorirà il necessario sblocco delle assunzioni.

E’ un impegno che da qui alla fine della legislatura si vuole portare a termine e l’orizzonte temporale di medio/lungo periodo di questo governo di mandato consentirà di metterlo a terra nel modo più adeguato e duraturo.

La parola d’ordine è come sempre “programmazione”. Abbiamo messo in campo risorse economiche nel minor tempo possibile e cercando di arginare lacune ereditate da tagli lineari alla sanità pubblica applicati nel tempo, almeno negli ultimi 15 anni.

Ora è importante accompagnare gli investimenti da un disegno razionale e lungimirante che riguarda le professioni e il personale, l’assistenza territoriale e la digitalizzazione, l’utilizzo ottimale delle risorse in dialogo aperto e continuo con tutti i soggetti istituzionali e locali e con la politica.

La salvaguardi del SSN è un obiettivo condiviso, di questo governo indiscutibilmente.