Dice il detto “la matematica non è un’opinione”, eppure la malizia nell’interpretazione faziosa del dato è una tentazione che spesso ha il sopravvento. Così capita di sentire dall’opposizione, come un mantra recitato mnemonicamente ma senza voler leggere correttamente i numeri, che la Legge di Bilancio porterà tagli alla spesa sanitaria e che il rapporto fra fabbisogno sanitario nazionale e PIL tornerà a scendere ingiustificatamente. Sono affermazioni non veritiere e a spiegarcelo sono proprio i numeri contenuti nella manovra. Il fondo sanitario nazionale, infatti, per il 2023 sarà dotato di 128,211 miliardi di euro, con un incremento di 4,150 miliardi in più rispetto al 2022, dei quali 2 miliardi e 150 milioni prontamente stanziati dall’attuale Governo per far fronte al caro energia e non solo. A questo incremento si aggiungono ulteriori 2,4 miliardi di euro nel 2024 e altri 2,6 nel 2025. Un decisivo aumento del fabbisogno sanitario che inverte la rotta dei tagli lineari alla sanità pubblica susseguitisi nel corso dell’ultimo decennio – prima della pandemia – quando a governare era una compagine politica nettamente differente dall’attuale. La stessa che adesso lamenta i tagli di cui è stata artefice. Prima del Covid, infatti, la spesa sanitaria ammontava a 114 miliardi annui. L’emergenza sanitaria è deflagrata mettendo a nudo le criticità dell’assistenza di prossimità e le numerose carenze del sistema, accedendo un faro su quanto fosse prioritario e soprattutto urgente tornare ad investire in salute pubblica. A dare la fotografia inequivocabile del trend di sotto-finanziamento applicato al Servizio Sanitario Nazionale nel decennio immediatamente precedente la pandemia è la Fondazione indipendente GIMBE: che già in un rapporto del 2019 stimava un taglio totale alle risorse economiche per la sanità pubblica italiana di 37 miliardi di euro, nel periodo dal 2010 al 2019, con un incremento del finanziamento complessivo di soli 8,8 miliardi di euro.

A questi numeri, il documento di GIMBE affiancava la constatazione che il rapporto spesa sanitaria / PIL, così come indicato nel DEF 2019, avrebbe registrato una progressiva diminuzione per il triennio a seguire. In realtà questo non è accaduto, perché la pandemia ha portato un’iniezione di fondi alla sanità pubblica, necessaria ma inaspettata, e allo stesso tempo il PIL ha subìto una contrazione per via delle chiusure imposte dall’emergenza. E qui la matematica ci viene in soccorso: perché ci insegna che in un rapporto, se il denominatore (il PIL) diminuisce e il numeratore (la spesa sanitaria) aumenta, il risultato è maggiore. Ma parliamo appunto di un momento emergenziale, nel corso del quale la salute pubblica è stata giustamente “puntellata” con misure economiche straordinarie, che poi nel biennio successivo sono progressivamente venute meno per mutate o cessate esigenze. Il più recente rapporto del 2022 sul SSN, sempre a cura della Fondazione GIMBE, riporta infatti i numeri come da grafico di seguito, in cui è evidente che il maggiore incremento di risorse a favore della sanità pubblica è stato determinato dalla pandemia.

A confermarlo peraltro è lo stesso documento di economia e finanza di quest’anno, datato aprile 2022 e redatto dal precedente Governo. In sostanza, il PD e il M5S che oggi accusano Giorgia Meloni e il centro-destra di aver definanziato il fondo sanitario nazionale, prevedevano nel documento di programmazione finanziaria per il 2022 “un ridimensionamento della spesa sanitaria che proseguirà anche nel triennio successivo per effetto del progressivo esaurimento delle misure emergenziali dovute al contrasto della pandemia”.

E queste stesse previsioni erano contenute nella NADEF del 2021 e confermate nella NADEF 2022, che infatti riporta come “la spesa sanitaria tornerà a segnare delle riduzioni nel biennio 2023-2024, mentre nel 2025 si prevede la sua stabilizzazione, a ragione dei minori oneri connessi alla gestione dell’emergenza epidemiologica.” Il grafico in basso descrive il trend dell’incidenza in percentuale della spesa sanitaria pubblica sul PIL dal 2017 ad oggi, con le previsioni contenute nella NADEF 2022.

(Fonte: The European House- Ambrosetti su dati Ministero della Salute e Ragioneria Generale dello Stato, 2022)

Ma se andiamo a ritroso nel tempo, come mostra il grafico sottostante che riepiloga il trend del rapporto spesa sanitaria/PIL a partire dal 2000, noteremo una dinamica analoga: partita da circa il 5,5% nel 2000, la spesa sanitaria sul PIL ha raggiunto un picco del 7,1% nel 2009 per poi riscendere fino ai 6,5 punti percentuali registrati nel 2018. Dunque, in rapporto al Pil, nel 2018 la spesa è tornata ad un valore comparabile con quello del 2005 e comunque di un solo punto superiore a quello del 2000.

 

(Fonte: Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore)

È del tutto evidente che l’attuale Governo considera imperativo continuare ad investire sul SSN, sostenendo nel modo più razionale e congruo la spesa sanitaria. E questo non sono certo solo i numeri a testimoniarlo, dietro i quali c’è una volontà politica ferma e di lungo respiro. Per questo è importante smontare la facile retorica, che poggia su letture strumentali delle cifre, contrapponendo le giuste valutazioni fatte su dati non opinabili e soffermarsi ad analizzare tutti i fattori di contesto che condizionano le oscillazioni del fabbisogno sanitario nel tempo.